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Stato di emergenza e informazione

Il prostrarsi dell’emergenza sanitaria, la crisi internazionale, il generale clima di disorientamento politico e sociale incidono in maniera evidente sulle abitudini di fruizione informativa: si ricercano con più costanza e attenzione news e approfondimenti, con il conseguente però acuirsi di una sensazione di ansia e di frustrazione. Al contempo cresce il timore per i rischi connessi  alla ridondanza e alla sovrabbondanza delle opinioni, all’eccesso di rumore ed alcuni fenomeni distorsivi che nascono dalla necessità di ridurre e semplificare. Vi è chi si sente vittima di un’informazione troppo semplicistica e “di parte” e chi pensa che le fake news rappresentino un problema saliente e quotidiano. 

Questo è il quadro che emerge dall’ultima ricerca condotta nell’ambito del progetto Opinion Leader 4 Future su un campione di 450 soggetti tra i 25 e i 75 anni. La ricerca è stata condotto dal team di ricerca Almed della Professoressa Mariagrazia Fanchi, con la collaborazione dell'istituto Tips Ricerche. I temi percepiti come più rilevanti sono la salute (citata dall’82% degli intervistati) e l’attualità (77%). Le audience sembrano aver totalmente interiorizzato il lungo periodo emergenziale e cercare nel contesto informativo possibili risposte. Cresce non a caso l’interesse per la sostenibilità, citata dal 76% degli intervistati e considerata come un possibile strumento per evitare ulteriori crisi a livello sanitario, sociale e politico. 
 

La sfera pubblica ha perso di credibilità. Il livello di fiducia nella politica è calato di 19 punti e quello nelle istituzioni di 11, ma si consolida invece l’attenzione per singoli soggetti, capaci di raccontarsi come “divulgatori accreditati”.
Ad aumentare la sensazione di preoccupazione e disorientamento contribuisce ovviamente anche la guerra in Ucraina: il 77% degli intervistati dichiara di essere preoccupato dal conflitto e di avvertire l’esigenza di informarsi in maniera costante. Il bisogno informativo è però contrastato da una copertura giornalistica ridondante e “sporcata” da posizioni ideologiche: il 43% degli intervistati infatti si sente vittima di posizioni troppo “patemizzate” e retoriche. 
Cresce così l’esigenza di rapportarsi ai contenuti informativi con maggiore attenzione e senso critico, attraverso una più attenta selezione delle fonti (83%) e la scelta di opinionisti ed esperti che possano agire da guida (52%). 

Qualcuno a cui affidarsi
Se i mezzi di informazione tradizionali e le istituzioni faticano a trasmettere fiducia, i singoli opinionisti al contrario divengono sempre più protagonisti dello scenario informativo, non soltanto rispetto ai temi di attualità, ma anche in relazione alla gestione delle routine quotidiane: l’82% degli intervistati si affida agli esperti per le decisioni inerenti salute e prevenzione, il 53% per la corretta gestione del patrimonio economico e il 51% per le scelte relative agli immobili. 
Broker, networker, traslator e chatter sono solo alcuni dei ruoli affidati a questi nuovi leader di opinione.  Di fronte alla complessità e alla ridondanza informativa vi è infatti bisogno non soltanto di soggetti capaci di semplificare e tradurre i contenuti (traslator) e poi disseminarli (broker), ma anche di attivatori di ambienti relazionali, capaci di funzionare come “piazza virtuale” in cui commentare e approfondire (networker) i diversi argomenti, ma anche entrare in dibattito e confronto (chatter) con punti di vista diversi dal proprio.
Per divenire punti di riferimento non basta l’esperienza maturata negli anni (caratteristica citata dal 60% degli intervistati), ma occorre anche mostrare capacità di ascolto e disponibilità (46%) ed agire in maniera coerente ed etica. 
Sempre più poroso è poi il confine fra dimensione online e dimensione offline. Gli “opinion leader fisici” sono chiamati a sfruttare appieno i mezzi social per rafforzare il legame con i loro “seguaci” e la gestione di più touchpoint diviene fattore dirimente nella scelta di un esperto (fattore citato dal 28% del campione e dal 37% degli under 40). Al contempo viene ribadita l’importanza della presenza offline: il 26,5% degli intervistati si affida a uno esperto per decisioni di carattere personale solo se vi è la possibilità di incontrarlo anche di persona.
 

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