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IL JOURNEY CULTURALE DELLE GIOVANI GENERAZIONI


di Marta Colantoni

Nel luglio 2020 si è da poco conclusa la prima ondata del contagio da Covid-19, gli italiani sono alla ricerca di una nuova normalità. Oltre al perdurare della paura, riprendono le attività economiche e con queste la produzione del valore anche in ambito culturale (musei, gallerie, fondazioni, aree archeologiche, cinema, teatri). Tra le strategie messe in atto da parte di istituzioni ed organizzazioni culturali per il rilancio, si moltiplicano le collaborazioni con i personaggi influenti sui canali social: influencer di professione, autori, attrici, sportivi. 

Con il mio lavoro di tesi per il conseguimento della laurea magistrale in Comunicazione per l’impresa, i media e le organizzazioni complesse dell’Università Cattolica di Milano, ho deciso di interrogarmi sulla validità di un simile scenario in ambito culturale, al quale si è abituati ad assistere con maggior frequenza nella relazione tra gli attori del mercato economico con i consumatori. Parallelamente è nata l’idea di estendere lo sguardo ad entrambi gli owned media presidiati da istituzioni ed organizzazioni culturali - non solo canali social, ma anche pagine web ufficiali - alla luce dei grandi cambiamenti che iniziavano a preannunciarsi nelle modalità di fruizione di contenuti culturali, sempre meno on site, a causa dell’emergenza sanitaria.

Cosa si intende per comunicazione digitale in ambito culturale? Con l’avvento di strumenti e piattaforme digitali, l’istituzione culturale, da un focus esclusivo sulle collezioni, mette al centro il visitatore, il cui profilo evolve specularmente da quello di passivo ad attivo partecipatore. I confini dell’istituzione si estendono, nei canali (digitale, fisico, ibrido) e nelle relazioni con i pubblici, che le richiedono il perseguimento di un purpose sociale. Queste trasformazioni, che non interessano solo il mondo culturale in quanto è l’intera società contemporanea - disintermediata - ad esserne attraversata, hanno aggiunto complessità all’ecosistema in cui istituzioni ed organizzazioni culturali si trovano ad operare, per la quale è richiesto ai professionisti del settore culturale di adottare, sempre di più, un approccio di carattere multi ed interdisciplinare.  

Poi ci sono le collezioni digitali e lo spinoso problema dei dati, l’edutainment, le partnership, la realtà virtuale, quella aumentata, l’intelligenza artificiale, le app, i podcast, i chatbot. Definire la comunicazione digitale in ambito culturale non è affatto semplice, si tratta di un concetto estremamente stratificato e complesso. Il dato certo è l’inquadramento del concetto nella duplice dimensione dell’on site e dell’online

Gli studi realizzati nell’ambito dei canali proprietari di istituzioni ed organizzazioni culturali - pagine web ufficiali e canali social - risultano, poi, frammentati e riguardano aspetti diversi e difficilmente sistematizzabili. In particolare, nessuno procede con l’analisi dell’influencer di contenuti culturali, argomento sul quale avrei preferito formarmi più di altri, alla luce del loro frequente coinvolgimento nel contesto nazionale in seguito alla prima ondata e della formazione del quesito di tesi che iniziava a delinearsi, ed è in parte in questa direzione che ho deciso di sviluppare il mio lavoro. 
Cosa accade nella realtà invece? Anzi, alle realtà di maggior successo. Quali sono le istituzioni promotrici di pratiche virtuose connesse all’offerta di strumenti digitali on site e di format innovativi online? In entrambi i casi si sono distinti i lavori di alcune realtà statunitensi. Per quanto riguarda i canali social, ho riscontrato come TikTok sia il meno utilizzato in ambito internazionale e come le poche che vi ricorrono, lo fanno in maniera diversa: solo le istituzioni più virtuose adottano il linguaggio nativo del social, come il London Museum, l’olandese Rijksmuseum e le Gallerie degli Uffizi.

La scoperta di uno spazio ancora poco frequentato in ambito accademico - digital ambassador nel settore culturale - e di una maggior preparazione al digitale, rilevata soprattutto all’estero, mi hanno spinta, unitamente all’osservazione del contesto italiano al momento della nascita del proposito di ricerca, a chiedermi:

qual è il rapporto dei giovani italiani - in particolare della generazione Z - con le modalità di fruizione e di comunicazione digitali, dell’arte e della cultura e come si pongono al riguardo i rappresentanti del settore, sia dal punto di vista dell’offerta che delle modalità di comunicazione?

Per rispondere alla prima parte del quesito, sono andata ad interrogare direttamente gli Z. 

In merito agli aspetti di consumo, il rilevamento di una poca familiarità ad un tipo di fruizione digitale di contenuti culturali, unitamente alla volontà diffusa di proseguire il viaggio sul posto fisico dopo aver fruito solo digitalmente di una mostra, hanno delineato, nel target incontrato, il ritratto di una generazione più bisognosa di materialità e fisicità di quanto si potesse immaginare. La maggior parte degli adolescenti (61%) è aperta ad un tipo di fruizione integrata dei contenuti culturali, mentre il 17% è contrario all’ipotesi di un accesso solo digitale all’arte (arte visiva, archeologia, teatro, cinema). Sono dati che confermano l’importanza dell’integrazione tra dimensione fisica e digitale per gran parte della generazione e, per la quasi totalità, l’impossibilità ad escludere interamente la prima.

In merito, invece, alle modalità di comunicazione, gli adolescenti dichiarano di ver subito un condizionamento solo sul piano percettivo, non anche del comportamento, dopo aver visto promuovere un determinato contenuto, culturale e non, dall’influencer. Nella maggior parte dei casi, infatti, l’influenza si è tradotta nell’apprendimento del titolo di un film o di uno spettacolo teatrale (sono venuto a sapere di…) o nella presa in considerazione della possibilità di visitare un luogo d’interesse storico-artistico (ho preso in considerazione…). Il target si è dimostrato piuttosto scettico in merito ai contenuti provenienti da tali nodi informativi, prediligendo, probabilmente, consultare anche altre fonti.

Mi sono confrontata sugli stessi temi con importanti opinion leader del settore culturale: la Direttrice di due Osservatori del Politecnico di Milano, quattro rappresentanti istituzionali (Museo Egizio, Museo MAXXI, Fondazione Sandretto Re Rebaudegno, Museo Diocesano di Milano) e tre rappresentanti della struttura divulgativa (Il Messaggero, PCM Studio Press Office & Communication, Artribune).

Per le modalità di fruizione di contenuti culturali, anche con loro è emersa l’importanza di un’offerta culturale integrata nei canali e la priorità accordata all’esperienza sul posto fisico. Valore e investimenti, quindi, sia verso la digitalizzazione dei contenuti, che verso la digitalizzazione del journey (servizi di supporto alla visita in loco, customer care, ticketing online).
    

«Io vedo due grosse spinte di innovazione in questo momento: da un lato quello verso la proposizione di contenuti digitali, dall’altro quello della digitalizzazione del journey».

Eleonora Lorenzini, Politecnico di Milano

Ma anche nella valorizzazione degli spazi fisici, destinando gli spazi museali e culturali per finalità di studio o di socialità e adottando un approccio di storytelling sin dal posto fisico,  
   

 «La vita quotidiana in un villaggio, diciamo, in provincia di Tebe, è una vita che, mutatis mutandis, assomiglia alla nostra: c’erano famiglie, c’erano lavoratori, c’erano persone che cercavano di acquisire competenze nella scrittura, c’erano gli scribi, c’erano gli artisti, c’erano gli artigiani. Quanti contenuti di comunicazione si possono individuare in un museo, quanta materia c’è da raccontare al pubblico diversificando anche i target».

Paola Matossi L’Orsa, Museo Egizio di Torino.

Inoltre, solo grazie ad una lettura strategica dei dati sul giovane visitatore/utente sarà possibile progettare una relazione di successo con il target degli Z, poiché più personalizzata e tailor made: il journey culturale 4.Z, un personale neologismo che stressa sulla necessità dell’integrazione ed allude all’industria 4.0, che applica le tecnologie digitali alla produzione industriale.

In merito, invece, alle modalità di comunicazione, con gli otto opinion leader è emersa l’efficacia del coinvolgimento di influencer in vista del raggiungimento delle giovani generazioni: verticale per l’utente già affiliato ad una community d’arte, più disruptive per il grande pubblico degli Z. 


    «I microinfluencer possono aiutare nella promozione dell'arte come una qualsiasi rivista d'arte ma ci vorrebbe un influencer che davvero sia trasversale o che c'entri poco con il mondo dell'arte e che riesca a intercettare il “non pubblico”. Sono sicuro che la signora “non ce n'é coviddi” di Mondello dentro una sala espositiva attirerebbe molta più gente in un museo. Molta di più di un selfie o di video di approfondimento di una bravissima art sharer».

Silvio Salvo, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino
   

In entrambi i casi sfruttando il canale TikTok ed il linguaggio musicale, potentissime leve di ingaggio dei giovanissimi. Non si dimentichi, tuttavia, dai dati sulla domanda, come gli effetti dell’influenza non incidono sul piano pratico. Di conseguenza, influencer sì ma per obiettivi di awareness. Fermo restando che si tratterà di un’operazione indispensabile, al pari dell’attivazione di tutti gli altri canali di comunicazione, in un ecosistema informativo estremamente frammentato e complesso, come quello che caratterizza la nostra società contemporanea. 
    

«Sono indispensabili, com’è indispensabile tutto. Diciamo che ogni cosa che nasce non va a sostituire quello che c’è già, ma la caratteristica è che si aggiunge e si aggiunge con la stessa necessità. Una volta che è nato un canale, diventa necessario come quello precedente. C’è semplicemente una spalmatura, un aumentare, una proliferazione di canali, ibridi. Sono indispensabili e lo sono perché oggi tutto è in trasformazione».

Paola Caterina Manfredi, PCM Studio Ufficio Stampa e Comunicazione.


 

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