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LE HASHTAG CHALLENGE SPONSORIZZATE SU TIKTOK

(di Micol Grassi)

Fin dalla sua nascita e in particolar modo dalla fusione con Musical.ly, avvenuta nel 2018, TikTok si è basato su meme, trend ed hashtag challenge. Ben presto numerosi brand hanno cercato di colonizzare l’app e aprirsi a questo linguaggio disruptive, sfruttando il format dell’hashtag challenge sponsorizzata con obiettivi di brand awareness e di brand engagement. In Italia ciò è avvenuto a partire dalla seconda metà del 2019. Nonostante la pandemia, nell’ultimo anno, sull’app molti brand hanno continuato a sfruttare il mezzo della challenge, tuttavia pochi sono gli studi che si sono dedicati all’analisi della struttura e delle motivazioni che spingono gli utenti a partecipare a branded hashtag challenge. Ciò al fine di verificare se e in che misura questo strumento sia adeguato a generare brand engagement e quali opportunità offra alle aziende che decidono di inserirlo all’interno della propria strategia di comunicazione. Pertanto, è stata formulata la seguente domanda di ricerca: “Le hashtag challenge sponsorizzate sono uno strumento efficace di brand engagement?”.

Innanzitutto, trovare una definizione di “challenge” nel contesto dei social media non è semplice, ma fondamentalmente può essere considerata come uno strumento che ha come obiettivo generare viralità ed eWOM e le cui caratteristiche strutturali di base sono la partecipazione gamificata, quella mimetica e la semplicità dell’azione richiesta. A differenza dell’antecedente più prossimo, ovvero il giveaway, le hashtag challenge, in particolare su TikTok, non si basano su ricompense estrinseche e non seguono la dinamica classica di una sfida, ovvero la competitività per ottenere un obiettivo/un premio (“achievement”).

Con lo scoppio della pandemia le abitudini digital e non sono cambiate molto in tutto il mondo. In Italia, oltre agli stati d’animo dominanti, ovvero preoccupazione ed incertezza per il futuro, il maggior tempo libero a disposizione e la noia hanno portato molti ad un uso più intenso dei social media e ad una maggior fruizione di video.

In questo contesto TikTok è cresciuto, ottenendo un boom di download e una maggiore visibilità culturale. Vi è stato poi uno slittamento verso un core target più “maturo”, corrispondente alla fascia d’età 18-24. Parallelamente l’app, attraverso vari trend quali contenuti trans-generazionali, l’edutainment, l’health communication per la sensibilizzazione alla lotta contro il Covid-19 e le ricette in pillole, è entrata nella routine della quarantena, guadagnandosi lo status di “isola felice” e accentuando la sua funzione evasiva

Da questo lavoro di ricerca è emerso così che TikTok non sia più una piattaforma ad appannaggio esclusivo dei membri della Gen Z. Con lo scoppio della pandemia ha assunto un ruolo identitario non più per l’adolescente in formazione, ma per le famiglie che attraverso l’adesione a trend e challenge sulla piattaforma, hanno trovato uno spazio in cui sentirsi parte di una community nonostante il forzato isolamento. Si può parlare quindi di quella che ho definito Home Culture, intesa come “evoluzione” della “Bedroom Culture” con riferimento ai teenager nella loro cameretta. In questo scenario le challenge, soprattutto nella seconda fase della pandemia, hanno continuato ad essere presenti sia a livello nazionale che internazionale, aderendo o meno allo storytelling dominante nell’advertising della Fase 1. 
È stata così sottoposta una survey intergenerazionale, rivolta alle persone nate tra il 1946 e il 2010 per verificare l’awareness e l’engagement generato da TikTok e dalle hashtag challenge

Quasi la metà dei rispondenti ha affermato di aver iniziato ad utilizzare l’app a seguito del lockdown di marzo (48%), più della metà ricerca sulla piattaforma non solo contenuti di puro entertainment, ma anche didattici (51%). Ciò si lega anche alle challenge poiché una parte non indifferente dei rispondenti ha indicato quello culturale come il settore più indicato a promuovere un’iniziativa di questo tipo (16%). Per quanto riguarda le hashtag challenge sponsorizzate, esaminando le potenziali motivazioni che potrebbero spingere ad una futura partecipazione (la maggior parte delle quali desunte dalla teoria degli usi e delle gratificazioni), è emerso che la maggior parte dei rispondenti pare più interessata a gratificazioni intrinseche piuttosto che ad un “premio” per la partecipazione o ad un riconoscimento sociale attraverso maggiore visibilità ed interazioni. In particolare, l’item del “divertimento” (ovvero che la challenge abbia un brief creativo divertente e/o stimolante) è quello che ha ottenuto il ranking positivo più alto. 

Successivamente è stata considerata un’audience più qualificata dal punto di vista dell’engagement ed è stata così svolta un’analisi netnografica considerando i commenti ai video dei tiktokers sponsorizzatori di cinque tra le branded hashtag challenge più popolari su TikTok Italia nell’ultimo anno, valutandone la componente semantica più profonda e parallelamente il sentiment (positivo, neutro o negativo).

I risultati hanno principalmente messo in luce come vi siano fattori che influenzano, e in taluni casi determinano, il successo o l’insuccesso di una challenge brandizzata. In particolare, sembrano avvantaggiati i brand che godono di un’awareness e di un engagement già molto elevati (es. McDonald’s) o che hanno in sé elementi intrinseci che ben si adeguano al linguaggio di TikTok (es. McDonald’s) e agli asset strategici su cui punta (es. la serie musicale “Julie and the Phantoms”). Al contrario brand premium potrebbero incontrare maggiori difficoltà in particolare legate al reperimento del prodotto, la cui presenza è ritenuta da molti utenti essenziale all’interno del video prodotto (es. Furla). 

Dopo l’analisi dei commenti è stata proposta una suddivisione degli utenti in gruppi omogenei. Tra questi il profilo che presenta il maggior potenziale per i brand è senz’altro quello dei challenge seekers, ovvero utenti che manifestano l’intenzione di produrre il video e chiedono informazioni su elementi legati all’iniziativa brandizzata e sulle modalità per parteciparvi, ma a volte, a causa in particolare di una mancanza d’interazione da parte dei tiktokers e dei brand, sono ostacolati nelle loro attività contributive. 

Per approfondire i fattori motivazionali che spingono o potrebbero incentivare gli utenti a partecipare ad hashtag challenge sponsorizzate sono state svolte nove interviste a due tipologie di utenti: da un lato i challenge unengaged (tutti membri della Gen Z), ovvero utenti che conoscevano almeno una delle branded hashtag challenge promosse sull’app, ma non avevano partecipato e dall’altro i challenge engaged (tre su quattro Millenials over 30); utenti che avevano prodotto video per almeno una branded hashtag challenge. Le differenze principali tra i due cluster hanno riguardato in primis le diverse percezioni del social, in un caso è stato descritto come un’app in cui, per la pubblicazione, sono necessarie expertise e competenze in un determinato ambito. Al contrario per i “challenge engaged” è visto come quello che più di ogni altro pone al centro la creatività amatoriale. È curioso però che alcuni dei “challenge unengaged” abbiano ammesso di dedicarsi in realtà frequentemente alla produzione di video selfie soli o in compagnia, salvandoli tutti nelle “Bozze” e usando, quindi, TikTok con una funzione di diario visivo, ma “segreto”, dove raccogliere ricordi, lontano dal giudizio pubblico. Interessante poi che i “challenge unengaged” abbiano indicato come motivatore per una futura partecipazione la richiesta di una performance non individuale, di modo che la challenge diventi così un’ulteriore occasione di socializzazione e rafforzatrice di legami sociali.

In conclusione, i principali cambiamenti che hanno investito il social media nell’ultimo anno (ovvero l’allargamento della base dell’audience, una maggior diversificazione dei contenuti con un’apertura all’edutainment e la nascita della cosiddetta “Home Culture”, conseguente allo scoppio della pandemia) hanno fatto da cornice alle hashtag challenge sulla piattaforma. Queste presentano peculiarità che il mio lavoro di ricerca ha cercato di sistematizzare, ovvero partecipazione gamificata e memetica, semplicità dell’azione richiesta e assenza, nella maggior parte dei casi, di competitività, con motivazioni intrinseche come principali driver

Dall’analisi empirica di alcune tra le più popolari hashtag challenge brandizzate dell’ultimo anno, sono state evidenziate le opportunità che questo strumento offre alle aziende e alcune criticità. Un problema ha riguardato innanzitutto l’approccio, infatti, nonostante l’uso da parte dei brand dello strumento delle hashtag challenge sia abbastanza recente, vi è una tendenza a legarsi ancora al meccanismo dell’interruption & repeat, tipico dell’advertising classico e un’enfasi a volte eccessiva sul prodotto (product-oriented), disincentivando così in particolare gli Z alla partecipazione. L’opportunità sarebbe quella di riuscire a spostare il focus maggiormente sul consumatore, “deliziandolo” con un’iniziativa originale e divertente, usando un approccio inbound. A ciò si collega anche il ruolo dei tiktokers, spesso giudicato eccessivamente intensivo. 
Dalle interviste e dalla sentiment analysis è emerso il desiderio da parte degli utenti di una più fine targhettizzazione dei creators, facendo rientrare il prodotto in maniera fluida nel loro “mondo”, rispecchiando le loro peculiarità e/o settore di riferimento. Inoltre, sia dall’analisi sentiment che dalle interviste si è evidenziato il desiderio di una maggior interazione da parte di tiktokers e brand e di un riconoscimento sociale nei confronti degli utenti che decidono di partecipare alle iniziative, instaurando relazioni più “orizzontali” ed evitando che creators ed aziende restino delle entità impersonali. 
Un altro elemento da tenere in considerazione è che la challenge è uno strumento intersettoriale (ovvero possono potenzialmente sfruttarlo brand appartenenti a settori molto diversi tra loro), ma, qualora nel brief creativo fosse richiesto di mostrare il prodotto nel video e l’obiettivo fosse generare intenzione d’acquisto, brand “value for money” potrebbero essere avvantaggiati per una più facile reperibilità del prodotto. Nonostante tutte le challenge analizzate siano sempre state promosse da brand che godevano di un’awareness già molto elevata, ciò non toglie che in futuro anche brand meno o per nulla noti, in particolare con un core target molto young, potrebbero sfruttare questo strumento come “vetrina” per farsi conoscere in modo originale e divertente, catturando così un engagement di partenza. Infatti, uno dei tratti maggiormente caratterizzante gli Z è proprio questa vocazione naturalmente esplorativa e la curiosità
In tutte le hashtag challenge sponsorizzate analizzate l’unica performance richiesta è stata quella del “balletto”, la più tipica e classica sulla piattaforma. Invece, nell’ultimo anno, TikTok si è in realtà aperto a tutta un’altra serie di forme espressive, anche non legate al format del classico “video-selfie”. Il futuro potrebbe portare ad un’apertura e una sperimentazione di nuove tipologie di performance richieste, che potrebbero anche coinvolgere maggiormente il target over 30, ormai potenziale interlocutore per i brand sulla piattaforma. 


 

 

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