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Instagram e fitness: una relazione superficiale

Instagram e fitness: una relazione superficiale

di Stefano Giovannini


La pervasività dei device tecnologici online e offline rende la vita odierna perlopiù sedentaria, che si tratti del tempo lavorativo o libero. In Italia, secondo il rapporto Digital 2020 (We Are Social e Hootsuite) gli italiani trascorrono circa sei ore al giorno online, per giocare a videogiochi, per fruire contenuti in streaming o per usare i vari social media. Ciò è a detrimento dell’attività fisica, in particolare il fitness, la ginnastica per tenersi in forma. Muovendo dalla considerazione che un riequilibrio in tal senso nelle abitudini di tutti noi sia auspicabile, la Dott.ssa Giada D’Amico si è interrogata sulla possibilità, per quanto controintuitiva, che i siti di social networking forniscano un incentivo all’allenamento fisico. La ricerca qui presentata si occupa dunque di studiare le forme narrative con cui gli operatori del settore reclamizzano il fitness via uno dei social del momento: l’applicazione di photo e video sharing Instagram. Concetti-chiave di tale tipologia di storytelling sono, come si vedrà, “corpo” e “benessere”.

Muovendosi creativamente in un deserto bibliografico, la Dott.ssa D’Amico è riuscita a far tesoro delle poche oasi incontrate, avvalendosi in particolare di scritti relativi allo storytelling sportivo, agli studi sulle audience, sul markting relazionale, e sull’impatto dei visual media. Volgendo lo sguardo allo scenario europeo, la ricercatrice ha scoperto che l’Italia è il quarto stato maggiormente contributivo nei riguardi dei centri di fitness per investimento e numero di frequentatori (Deloitte e EuropeActive, 2019). 

In tal senso, dunque, si potrebbe arguire che gli italiani siano tra i virtuosi. Ciò potrebbe complicare le strategie di marketing degli operatori concorrenti, richiedendo un alto grado di creatività e sofisticatezza per conquistare la clientela. Ecco che allora si può ricorrere ad Instagram: studi (DataReportal & We Are Social & Hootsuite, 2020) dimostrano infatti che la piattaforma americana di photo e video sharing annovera quale proprio target primario il segmento anagrafico 25-34. Secondo dati ISTAT del 2018, gli italiani in tale fascia d’età che praticano continuativamente attività fisica sono all’incirca il 32%. 

Come i centri fitness italiani usano Instagram per rivolgersi a potenziali clienti? Come valorizzano la propria narrativa incentrata su corpo e benessere attraverso questo canale social? E, più in generale, che forme assume lo storytelling nella piattaforma di photo e video sharing? Quest’ultima domanda, soprattutto, ricade nel dominio d’interesse delle Digital Humanities e pare pertanto meritevole d’indagine nell’ambito di LDH. La Dott.ssa D’amico ci ha spiegato che, per condurre la propria ricerca, ha optato per un campionamento Internet-based, effettuando cioè una ricerca per parole-chiave “all’interno di browser selezionati”. Così facendo è pervenuta ad un campione di centri-fitness, successivamente setacciato onde rattenere soltanto quelli aventi un profilo Instagram “italiano, attivo e – aggiunge – di riferimento per le varie sedi che ogni realtà considerata include”.

Si è trattato a questo punto di esaminare l’uso di tali profili nel dettaglio: erano presenti, ma erano attivi? E se erano attivi, qual era il loro modus operandi? Come interagivano colla community? Considerata l’inevitabile distorsione dell’attività di queste realtà commerciali derivata dalle misure anti-pandemiche, che per almeno due mesi hanno cambiato profondamente la quotidianità di noi tutti, con particolare incidenza sui luoghi di aggregazione, tra cui le palestre, la Dott.ssa D’Amico ha proceduto all’aggregazione di alcuni KPI di Instagram riferiti al periodo 01/03/2020-30/06/2020. Ciò ha consentito una suddivisione in quattro gruppi degli esercizi del campione a seconda del loro posizionamento rispetto alle direttrici perpendicolari “vitalità dell’account” e “interazioni registrate da parte della community”.
“I vari account – ci spiega la Dott.ssa D’Amico – sono stati quindi classificati come:
-    Pending Community: cluster in cui la community è in sospeso in quanto incapace di interagire su una bassa quantità di contenuti proposti. Conseguentemente gli account sono incapaci di proporre contenuti allineati qualitativamente e quantitativamente con le esigenze degli utenti 
-    Community Seeking Content: insieme di account che offrendo pochi contenuti non colgono la proattività di una community alla ricerca di occasioni per esprimersi;
-    Community Fed: clsuter più performante in cui gli utenti vengono “sfamati” da contenuti per interagire;
-    Content Mismatching Community: cluster in cui si individua un disallineamento quali- e/o quantitativo tra i contenuti proposti e le esigenze degli utenti”.

Per analizzare lo storytelling degli attori individuati, la Dott.ssa D’Amico ha implementato un’analisi descrittiva incentrata sulle componenti visivo-testuali dei post condivisi e sulle interazioni registrate. Sorprendentemente, è stata riscontrata una sostanziale omogeneità nelle strategie discorsive dei diversi centri, cosa che ha impedito l’individuazione di best practices: “Si sono infatti constatati – ci spiega – obiettivi comunicativi di marketing e di branding delle varie strutture, dei loro servizi e dei loro abbonamenti, trasversali ai vari account considerati”. Quest’omogeneità poggia su aspetti dell’estetica del corpo (tonicità ed atletismo) a scapito della dedizione al benessere, che pure dovrebbe essere un elemento-chiave della narrazione: “nonostante i contenuti relativi all’allenamento siano numerosi, sono riconducibili esclusivamente al periodo di lockdown e alla conseguente esigenza di mantenere un contatto con i clienti”. Un marketing, insomma, che appare solo superficialmente interessato alla salute dei clienti. Come sottolinea la Dott.ssa D’Amico, l’esca per attirare iscritti non consiste in uno sprone all’adozione di uno stile di vita sano, bensì nel proponimento d’immagini di corpi esteticamente piacenti. 

Peraltro, la comunicazione appare monodirezionale, dato che gli utenti non partecipano alla narrazione, mancando quindi l’aspetto di co-costruzione del senso che pur sembrerebbe così centrale nell’immaginario dell’allenamento e nel rapporto tra maestro ed allievo, limitandosi a relazioni perifericamente riconducibili al fitness: “le loro interazioni esprimono l’esigenza di raccogliere informazioni e di socializzare”. L’amara conclusione dell’indagine della Dott.ssa D’Amico è che “si è rilevata l’assenza di strategie di marketing relazionali efficaci nella narrazione del fitness”. Non solo, i centri-fitness analizzati hanno anche dimostrato un’incapacità di “creare strategie di narrazione del fitness eterogenee in termini di obiettivi comunicativi e comprensive di contenuti in grado di incentivare il contributo degli utenti”. La Dott.ssa D’Amico pone inoltre l’accento su un grave problema etico intrinseco alla strategia di marketing attraverso storytelling che ognuna di queste palestre attua su Instagram: dall’analisi emerge infatti che questi operatori perseguono “obiettivi commerciali egoistici, minando la diffusione di una cultura del fitness inteso come stato di benessere comprensivo di dimensioni ulteriori a quella puramente estetica”.

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