In epoca di pandemia un interrogativo si è fatto particolarmente pressante per i sociologi della comunicazione: perché la gente, che abitualmente installa ogni tipo di applicazione invasiva della privacy sui propri smartphone, è apparsa talmente reticente nei confronti del tracciamento anti-Covid da farlo fallire? Da questa domanda muove la ricerca della Dott.ssa Stefania Bianco, che ha analizzato la situazione del contact tracing in Europa e in Italia secondo i dati fino al dicembre 2020. L'ipotesi avanzata dalla ricercatrice è che altri fattori oltre a privacy e sicurezza dei dati personali siano intervenuti a detrimento delle campagne di tracciamento imbastite dai governi europei con strategie più o meno sensate, rese ancor meno efficaci dall'assenza di un coordinamento sovranazionale. Tra le possibili ulteriori cause della disfatta, l'analisi della Dott.ssa Bianco si è concentrata su quelle di tipo comunicativo, per sondare le quali ha effettuato una "ricerca estensiva sulle applicazioni di contact tracing sviluppate in Europa entro novembre 2020 (N=26) e una intensiva focalizzata sull’app di tracciamento italiana Immuni".
L'analisi estensiva ha esaminato le app di tracciamento da una duplice prospettiva, tecnica e comunicativa, concentrandosi cioè da un lato sulla struttura, le funzioni dei programmi e i permessi richiesti all'utenza via essi, dall'altro su grafica, testi e temi prevalenti. "Tali app - spiega la Dott.ssa Stefania Bianco - sono state classificate in base al tasso di adozione rilevato a ottobre 2020". N'è emerso che "aggiungere delle funzionalità extra rispetto al mero tracciamento o alla notifica dei contatti si è rivelato premiante, esattamente come il mantenimento di una coerenza stilistica e di design tra canali comunicativi differenti". Dal punto di vista comunicativo, la ricerca ha mostrato come una strategia incentrata sulla valorizzazione della cura per il prossimo, piuttosto che ricorrente a metafore belliche, è più efficace nella persuasione adottiva, misurata come tasso di download. "A questi fattori - osserva la Dott.ssa Bianco - si aggiungono i permessi richiesti in fase di download: le app che richiedono permessi eccessivamente invasivi, come nel caso della geolocalizzazione del dispositivo dell’utente, si associano a tassi di adozione nettamente inferiori".
L'Italia appare in linea colla media europea per quanto riguarda il tasso di adozione, nello specifico dell'app Immuni. L'analisi della strategia comunicativa legata a Immuni ha mostrato che nei periodi di promozione l'app è stata più scaricata, pertanto restano incomprensibili quelli di silenzio al riguardo, "ben più lunghi", come riporta la Dott.ssa Stefania Bianco. Sembra dunque rilevabile una fallacia nella "strategia istituzionale del Governo, unita a problematiche tecniche e ad una difficile integrazione col sistema sanitario". L'osservazione è corroborata da due ulteriori analisi effettuate dalla Dott.ssa Bianco: "un’analisi dei commenti pubblicati sulla pagina Facebook istituzionale di Immuni da ottobre a dicembre 2020 ed un’indagine qualitativa sulle motivazioni e sulle ragioni profonde alla base dei comportamenti degli utenti". Questa sezione della ricerca ha permesso di catalogare l'utenza in quattro tipi, di cui due aventi idee formate pro o contro l'app, uno indeciso e uno impossibilitato tecnicamente ad accedervi.
"Per rispondere all'interrogativo iniziale - conclude la Dott.ssa Stefania Bianco - è emerso che non sono solo la privacy o la sicurezza dei dati personali a influenzare il download da parte della popolazione, ma intervengono anche altri fattori", di tipo tecnico, esperienziale e comunicativo. Al primo tipo sono riconducibili funzioni delle app e permessi richiesti all'utente; al secondo pertiene il vissuto del cittadino, così come quello dei conoscenti influenzantilo; al terzo si riportano la strategia governativa (più o meno definita) di promozione dei programmi, colle relative tattiche linguistiche e tematiche.