La terza edizione di Parole a Scuola, giornata formativa promossa da Parole O_Stili, Istituto Toniolo e Università Cattolica, dedicata a insegnanti, educatori, famiglie e a tutti coloro che desiderano riflettere sull’educazione delle nuove generazioni, si è tenuta il 18 ottobre in un clima di intensa partecipazione.
Fin dall’avvio dei lavori è emerso con chiarezza quanto i temi della corretta informazione, dell’autenticità dei contenuti e della responsabilità educativa siano fondamentali per garantire le migliori condizioni per la crescita e la formazione delle future generazioni. Come ha ricordato la Rettrice Elena Beccalli, «Fin quando c’è una domanda a proposito della verità, di un’informazione, di un contenuto, direi che siamo saldi», richiamando la necessità di un’educazione capace di coltivare discernimento e senso critico.
Un appello rilanciato da Mariagrazia Fanchi, Direttrice di ALMED, che ha sottolineato come «non possiamo lasciare che siano gli algoritmi a interpretare i bisogni dei ragazzi»: in un tempo segnato dalla velocità e dalla sovrabbondanza informativa, scuola e università sono chiamate a presidiare l’ascolto, a creare spazi di relazione e a restituire significato ai linguaggi che attraversano la quotidianità delle nuove generazioni.
In questo quadro si è inserito il contributo di ALMED, protagonista di diversi incontri che hanno esplorato il rapporto tra media ed educazione da prospettive differenti. Paola Abbiezzi, Direttrice didattica del Master Comunicare lo sport, ha parlato dello sport come metafora formativa e come contesto privilegiato per osservare dinamiche di crescita, identità e relazione. L’esperienza della Milano Football Cup, raccontata dal suo fondatore Ludovico Lombardo, ha mostrato come i tornei scolastici possano trasformarsi in occasioni di comunità: «Escono da scuola e si dirigono al campo, come giocatori o come spettatori, sempre facendo parte della loro scuola». A completare il quadro, il contributo di Dario Reda, Docente e content creator, ha riportato al centro la relazione educativa, ricordando che «il bagher non vi salva la vita, ma guardarvi negli occhi sì».
Lo sport è apparso così come uno spazio in cui sperimentare il confronto con il limite, la gestione dell’errore e la costruzione di legami significativi, elementi che la scuola non può permettersi di trascurare.
Il tema dei social media come spazi di conoscenza e apprendimento è stato affrontato in un panel, che ha stimolato il pubblico a interrogarsi sul significato stesso dei social nella vita quotidiana dei ragazzi. Ruggero Eugeni, Direttore del Master in Media relation e comunicazione d’impresa, ha richiamato l’attenzione sul “rumore” che attraversa ogni ambiente comunicativo, ricordando come la qualità dell’informazione non dipenda esclusivamente dalla tecnologia, ma dalla capacità di interpretare contesti, intenzioni e linguaggi, mentre Elisabetta Locatelli, Coordinatrice Scientifica del Master Health Communication Specialist, ha presentato esperienze di didattica laboratoriale che coinvolgono gli studenti nella produzione di contenuti informativi, mostrando come i social possano diventare luoghi di costruzione del sapere e non solo di consumo rapido.
Un ulteriore tassello è arrivato dal panel dedicato all’infanzia digitale in cui Nicoletta Vittadini, Direttrice del Master in Digital Communications Specialist, ha affrontato la questione dell’esposizione dei più piccoli ai media. La ricercatrice ha ricordato come, nella scuola primaria, le tappe dello sviluppo cognitivo richiedano grande attenzione alle differenze evolutive: ciò che un preadolescente può interpretare e rielaborare autonomamente non è alla portata di un bambino di sei o sette anni, il quale «si affida completamente a ciò che vede sullo schermo», reagendo soprattutto alla dimensione sensoriale e immediata. Particolare attenzione è stata dedicata al fenomeno dello sharenting: «I bambini costruiscono la loro identità anche attraverso ciò che gli adulti condividono su di loro», ha sottolineato Vittadini, richiamando la necessità di preservare spazi di intimità e di sperimentazione non esposti allo sguardo pubblico.
Infine, l’intervento di Sara Sampietro, Ricercatrice e Coordinatrice del progetto Opinion Leader for Future, ha offerto una lettura aggiornata del rapporto tra giovani e informazione. A partire dai dati presentati – secondo cui il 17% dei giovani dichiara di non saper distinguere una notizia vera da una falsa, percentuale che sale al 21% tra i 14 e i 16 anni – Sampietro ha mostrato come fragilità e competenze convivano. Se da un lato la velocità dei feed e la diffusione di contenuti generati dall’intelligenza artificiale rendono più complesso il riconoscimento delle fonti, dall’altro «prima di noi sono abituati a informarsi nella distrazione e più di noi sono capaci di fare fact checking».
I giovani sanno riconoscere filtri, segnali di manipolazione e indicatori di qualità, ma necessitano di contesti educativi che insegnino a rallentare e ad approfondire. Sampietro ha osservato che «sanno riconoscere una notizia fatta con calma, con cura, prendendosi tempo», un patrimonio di competenze che la scuola è chiamata a valorizzare per costruire una nuova cultura informativa.
In un tempo in cui la velocità rischia di soffocare la riflessione, la giornata ha sottolineato l’urgenza di restare nella domanda e di rimettere al centro l’ascolto, perché nessuna tecnologia potrà sostituire la responsabilità educativa e la cura delle relazioni.