La creator economy ha generato nuove opportunità di lavoro creando un vero e proprio nuovo mercato, che, secondo l’Associazione Italiana Content Digital Creators, ha prodotto ricavi per il 2024 stimati a 4,06 miliardi di euro. Per mamme e genitori, diventare influencer ha significato trovare nuove forme di espressione e di bilanciamento fra lavoro e famiglia. Numerosi sono, però, anche i rischi: le ricerche internazionali sottolineano il pericolo di mercificare ogni aspetto della vita quotidiana, di essere costantemente sotto i riflettori, di creare ulteriori forme di precariato lavorativo. Queste eventualità non riguardano solo gli adulti ma anche i e le minori, che si trovano ad essere parte dei contenuti realizzati dai genitori e coinvolti in iniziative commerciali.
Una partnership virtuosa
Per comprendere questo fenomeno, è stata realizzata la ricerca “Protagonisti consapevoli? La tutela dei minorenni nell’era dei family influencer”, svolta da Terre des Hommes Italia insieme a Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) e ALMED (Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con il supporto dell’avvocata Marisa Marraffino, esperta di diritto dei media digitali, e la partnership tecnica di Not Just Analytics.
È stata una partnership virtuosa perché ha consentito di mettere a fattor comune le rispettive competenze e risorse, per produrre un’analisi multidisciplinare del fenomeno. La ricerca è stata presentata al pubblico lo scorso 5 novembre durante l’evento omonimo a cui hanno partecipato, oltre ai promotori della ricerca, anche Marina Terragni, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, la Senatrice Simona Malpezzi e la giornalista Arianna Voto, giornalista RAI.
Un tema sentito
Particolarmente vivace è stata la risonanza della ricerca presso i media, che hanno dedicato grande attenzione ai suoi risultati. Diverse testate (fra cui Rai3, SkyTg24, il podcast Morning de Il Post) hanno riservato ampio spazio al tema, sottolineandone la rilevanza e il portato. Lo sharenting (sharing + parenting, ovvero la condivisione di contenuti dedicati a figli e figlie da parte dei genitori) non riguarda, infatti, solo gli influencer ma tutti i genitori che condividono o hanno condiviso notizie, foto o video dei propri figli e delle proprie figlie. L’argomento ha quindi una portata sociale molto più ampia.
La ricerca
La ricerca quali-quantitativa di carattere esplorativo, ha analizzato 20 profili di family influencer e 1334 contenuti pubblicati su Instagram e TikTok per capire come sono mostrati figlie e figlie nell’arco temporale compreso fra il 26 giugno e il 10 luglio 2025.
Sono stati analizzati i contenuti organici e pubblicitari individuando la presenza di minori e, nel caso dei contenuti sponsorizzati, la loro età, attività, la tipologia di brand o prodotto sponsorizzato, la presenza di forme di tutela o di adultizzazione.
I risultati
L’analisi ha mostrato che i/le minori appaiono nel 46% dei contenuti organici e nel 24% dei contenuti sponsorizzati. In un terzo circa dei contenuti pubblicitari (30,77%), i bambini e le bambine risultano essere parte attiva dell’advertising: ad esempio scartano il prodotto, lo presentano, lanciano la promozione.
Nella maggior parte dei contenuti in cui appaiono minori, inoltre, non sono adottate forme di tutela della privacy per i più piccoli, ad esempio riprese di spalle, immagini pixellate o l’aggiunta di emoticon sul viso. Nei contenuti organici tali forme di tutela appaiono nel 7% dei contenuti; la percentuale si abbassa al 2% se si considerano i contenuti pubblicitari. Nel 29% dei contenuti si riscontrano situazioni potenzialmente problematiche rispetto alla privacy: nel 21% dei casi sono mostrati momenti intimi come il bagnetto, il cambio del pannolino, la nanna; nel 6% dei contenuti il minore è coinvolto in trend o challenge; nel’1% dei casi il minore è colto in un momento critico (rabbia, tristezza, difficoltà).
Solo nello 0,65% dei contenuti il minore si oppone esplicitamente alla ripresa, ma nel 63% bambini e bambine si vedono sullo sfondo delle scene dei genitori, senza quindi probabilmente la piena consapevolezza di essere ripresi a loro volta. Il tema del consenso si pone, però, anche nel restante 36% di contenuti, in cui i bambini, sia per una questione di età, sia per l’esplicitazione del contesto, si rendono conto di essere registrati. Per i bambini è infatti impossibile sapere quali conseguenze porterà questa loro esposizione. Figli e figlie possono, inoltre, sentirsi in dovere di partecipare all’attività del genitore influencer, per non ‘fare un torto, perdere la sua fiducia’.
Va, infine, sottolineato che i bambini più esposti risultano essere quelli con un’età compresa tra gli 0 e i 5 anni (sono quasi l’80%): un’età in cui non sono ancora in grado di esprimere il loro consenso e di comprendere l’uso che viene fatto della loro immagine.
Analizzando i dati di engagement di post e reel, sono emersi dei dati interessanti: nei contenuti organici non sempre la presenza di minori porta a un aumento dell’engagement (ER medio contenuti organici 3,02%, con minori 2,71%, senza minori 3,73%) mentre nei contenuti sponsorizzati contenenti minori appare un maggiore engagement (ER medio advertising 1.17%, con minori 1,40%, senza minori 0,59%). Questo può essere spiegato con il fatto che in tali post e reel sono applicate logiche maggiormente legate alla pubblicità classica ed eventualmente possono anche essere stati sostenuti a pagamento nelle piattaforme, aumentando la loro visibilità.
L’importanza di fare ricerca
L’analisi, di carattere esplorativo, ha messo in evidenza un’elevata presenza di minori nei contenuti analizzati, organici e sponsorizzati, rendendo urgente approfondire ulteriormente la loro presenza anche in altri segmenti di influencer. È necessario interrogarsi sulle conseguenze che questa esposizione può avere sui più piccoli e sul grado di consapevolezza e consenso che bambini e bambine possono esercitare. Nel momento in cui diversi momenti della giornata sono oggetto di ripresa e in cui i genitori diventano datori di lavoro, è importante interrogarsi sugli effetti per esempio sullo sviluppo della loro personalità e delle relazioni famigliari. Vi sono poi ulteriori elementi da tutelare, quali la privacy, l’esposizione dell’immagine in modo continuativo negli anni, e la circolazione delle immagini oltre i confini immaginati.
Di qui l’importanza di fare ricerca in modo continuativo e costante, coinvolgendo anche i soggetti attivi in questo mercato, fra cui influencer, aziende e, non ultimo, anche le piattaforme. Sarebbe auspicabile poter realizzare progetti di monitoraggio continuativo e sviluppare strumenti che possano agevolare l’identificazione di contenuti problematici e la loro segnalazione, ampliando quelli attualmente disponibili.
L’importanza di regolamentare
I risultati dell’indagine mostrano che bambini e bambine sono attivamente coinvolti anche in sponsorizzazioni, ma al momento manca ancora una regolamentazione che ne tuteli il lavoro in questo ambito, al contrario di quanto accade in altri settori dello spettacolo e pubblicitari.
Terre des Hommes ha quindi lanciato un appello per poter tutelare questi “protagonisti inconsapevoli”. In linea con il Disegno di Legge attualmente all’esame del Senato (DDL N°1136), Terre des Hommes sottolinea l’importanza di equiparare il coinvolgimento dei minori nelle attività pubblicitarie e commerciali social dei genitori, alle altre forme di lavoro minorile ammesse dalla legislazione italiana. In questo modo anche bambini protagonisti di advertising online risulterebbero tutelati in relazione al tipo di impegno cui sono chiamati e alle conseguenze psicofisiche ed emotive cui possono essere esposti.
Tali tutele, secondo Terre des Hommes, andrebbero estese anche laddove bambini e bambine non siano protagonisti, ma semplicemente presenti nei contenuti sponsorizzati, e indipendentemente dal valore del contratto dell’influencer.